Gino Votano

 

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Biografia e bibliografia

 

 

Nato a Reggio Calabria il 27 maggio 1924. Storico e animatore sociale e culturale. Giudice popolare e sindacalista. Ha fondato e movimentato diverse associazioni culturali del territorio. Fece parte della scuola storica reggina del Novecento. Partecipò ai convivi di quel gruppo di intellettuali reggini intorno a Nicola Giunta, Gaetano Sardiello, Armando Dito e Cosimo Zaccone che animarono il dibattito sociopolitico e culturale nell'immediato dopoguerra. Ne trasse l’idea di stato e Commonwealth. Da Giunta apprese l’amore per la lingua reggina e l’umorismo popolare; tanto che si è occupato di teatro fin dall'adolescenza, collaborando con un gruppo di attori che in un garage vicino la chiesa di San Giovanni Battista, mettevano in scena le maschere del varietà come Ciccio Formaggio. Va a scuola solo dopo aver raccolto l'erba nei campi tra Zarmà e Spaccatrona; più tardi ne studiò i toponimi. Dopo lunghe discussioni con il suo maestro sulla necessità dell'educazione si laurea all'Università di Messina con una tesi sulla "Psicologia della memoria", da cui parte per andare oltre Jung per recuperare l'idea di memoria come storia delle plebi. A metà anni Cinquanta incontra Sacha (Rosario) Villari, tornato in Calabria, dall’esperienza al “Politecnico”, “Il Ponte”, “Movimento operaio” e “Quaderni di cultura e storia sociale”. Erano gli anni, in cui Sacha era redattore di “Cronache meridionali”. Sacha e Gino andavano in giro per le campagne a parlare con contadini, braccianti, mezzadri e coloni per la rinascita delle plebi del Meridione. Fu una frequentazione assidua, con giri in Vespa 50 per l’Aspromonte a inseguire la passione per una rivoluzione meridionale, modulata dalle lunghe letture e conversazioni con Hobshawm, ma dalle frequentazioni e dai ritmi linguistici e tradizionali, dai ragionamenti dei braccianti. Più tardi insieme a Gaetano Cingari e Serafino Cambareri rafforzò la sua idea dell'educazione delle masse subalterne e degli adulti come principio del riscatto del Mezzogiorno. Dagli studi sulle masse e le associazioni ricavò la sua idea di storia del popolo prima attraverso l'impulso di Vico e i suoi cicli storici e è poi con la tesi di stato improntato al Commonwealth di Locke, raccogliendo l'idea ostativa della tirannide parassitaria descritta da Alfieri. Ne seguì un impegno politico internazionale terzomondista, intervenne a favore della pace in Vietnam, le battaglia per l'educazione delle donne di nuovo per le campagne stavolta insieme a monsignor Zoccali, quella per l'istruzione popolare e dei contadini insieme a Franco Zannino, Francesco Costantino, Rocco Minasi e Francesco Papa. Ne é scaturita una ricerca di microstoria, storia locale e storia del popolo e dell'associazionismo come elemento coagulante di libertà e aggregazione comunitaria. Ha pubblicato alcuni opuscoli, ha lasciato un archivio di saggi, studi, appunti, diari, alcuni in via di pubblicazione.

 

 

1. La Storia cancellata ritorna nelle pennellate di Brugel

Nel 1984 con "Storia di Archi" rende un'ampia dimostrazione della storia dei popoli e delle plebi. Il dolore la cui Memoria é stata cancella dalle sintesi del potere rivive nelle pennellate di un grande artista. Il Popolo protagonista della Storia. Già in copertina recupera la memoria di Brugel che nel 1562 in visita a Reggio dipinge "Il Trionfo della Morte" (Museo del Prado, Madrid), il popolo reggino indifeso viene massacrato dalle razzie dei pirati. "Si può vivere una vita intera in un territorio e amare le cose di tutti i giorni, poi scopri che queste hanno una storia più lunga e più nobile di quanto mai si possa aver immaginato. Allora al quotidiano si sommano le suggestioni della Storia e del Mito, di eventi straordinari come lo scontro tra Islam e Cristianità e dolorosi come il terremoto". Per un territorio come Archi, queste ricostruzioni di microstoria sono anche un riferimento civile per quei ragazzi che guardano alla terra dove vivono come un quartiere di degrado, rovina e morte. E’ inoltre un’eredità, un mondo sparito con i suoi ritmi e le sue tradizioni, sparito anche perché violato, spazzato via dalla costruzione del Cep senza che nessuno abbia mai pensato a spazi civili di integrazione e alla salvaguardia dell’identità del territorio, che in qualche modo potrebbe rivivere nelle scuole e nella toponomastica, se si vuole rivalutare la sua storia, cancellata da cataclismi, rovine e violenze, troppo spesso gratuite. 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

2. La Storia come Memoria del Popolo

Lascia un immenso archivio di ricerche, studi e analisi. Pubblica soprattutto opuscoli, a partire da metà anni Ottanta. Riprende le analisi di studiosi calabresi come Vincenzo Padula, Domenico Mauro e Gregorio Provenzano in "Il Popolo calabrese" (1984). Studia i termini e i modi vita della classi rurali calabresi, ne sottrae le violenze linguistiche, "il termine tamarro è un’ingiuria, ma in questa parola, come in altre che indicano le classi rurali calabresi si nascondono il sangue, la fatica e l’orgoglio di un popolo che ha combattuto la malaria e le incursioni dei pirati. Contadini legati alla loro terra, tanto da ripudiare i ceti urbani, fino a dare la caccia ai giacobini, contadini che hanno fatto la fortuna dei loro baroni, proprietari terrieri, i Gnuri, ma che per la terra hanno perso la propria vita". Ricostruisce la tradizione artigianale: "Mastri scalpellini e intagliatori, artigiani che hanno addomesticato la pietra verde di Calabria, lavoratrici tessili che hanno prodotto panni e abiti ricercatissimi perfino dal D’Annunzio". E poi ricorda lo spirito associazionistico contro le soverchierie delle classi agiate e parassitarie, "Una borghesia e un clero, i cui galantomini, canonici e abati, hanno sviluppato lo spirito associazionistico in confraternite, logge e vendite, propagandando le idee liberali in pieno Assolutismo, rischiando il carcere e la forca".

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

3. La Microstoria e la servitù dell'ignoranza

Nel 1988 con "Associazioni e partiti politici in Calabria", ribalta un altro luogo comune sul Mezzogiorno, "La Calabria viene accusata di non essersi mai dotata di moderni strumenti politici e per questo ha pagato in termini di crescita economica e sociale". E rilancia i valori soppressi di un intero popolo, "le elite calabresi hanno saputo organizzarsi in associazioni e movimenti di stampo democratico. Elite preparate culturalmente, che hanno pagato in termini di ammodernamento regionale, qualche volta troppo, alcune amnesie in termini di dialogo con le masse. La plebe calabrese, che è stata ancorata a un tipo di economia di sussistenza, subordinata a un sistema sociale di interrelazioni medievali, non è riuscita a produrre contributi significativi alla crescita e allo sviluppo della regione". Spiega con l'ignoranza dei cicli storici dei contadini e delle plebi del Sud e la frattura che ha provocato derive criminali, "Così si spiega la caccia al giacobino che è diventata l’incubo dell’intellighenzia regionale. Così si spiega la deriva padronale che hanno assunto le elite, dimentiche della necessità di cooperare alla creazione di un sistema politico di crescita sociale e economica. Deriva padronale che spesso ha prodotto fenomeni cancerogeni sia malavitosi che di corruzione spicciola".

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

4. La Storia é anche analisi delle delusioni, delle gioie e delle aspettative dei Popolo

Nel 1992 pubblica, più che altro distribuisce nel quartiere, al suo popolo, l'opuscolo "Partiti politici, elite e masse in Calabria". E qui richiamandosi allo storico spagnolo Ortega Y Gasset, definisce il suo pensiero "La Storia non è solo analisi degli avvenimenti che determinano la nostra vita, ma anche dei comportamenti, delle delusioni, delle gioie e delle aspettative dei popoli. La Storia è quel filo che ci unisce nel segno delle nostre vite, storie che segnano le epoche nei suoi gusti e nelle sue conquiste. L'avvento delle masse porta nuovi protagonisti sullo schermo della Storia. Le masse diventano protagoniste nelle piazze, con i loro consumi, con la loro produttività. Eppure questo patrimonio non viene raccolto dalle classi dirigenti calabresi di inizio secolo. Sembra quasi che ci sia stata una forma di timidezza politica che abbia bloccato l’operato dei leaders radicali come Fera e Colosimo, rappresentanti del maggiore partito calabrese di inizio secolo. Non c’è stato un ricambio della classe politica calabrese che ha sottovalutato le proposte delle avanguardie da una parte, che ha sottovalutato il peso della questione contadina dall’altra. Un gap che si è tradotto nella mancata modernizzazione di una regione, i cui leaders spesso non cercano il filo dell’identità regionale, accomodandosi supinamente nelle camarillas del potere".

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

5. La Storia delle famiglie e delle comunità

Nel 1999, da una altra ulteriore ricerca accurata e completa di testimonianze e ricerche soprattutto all'Archivio di stato e linguistica sulle orme di Gerhard Rohlfs. Sulla scorta degli appunti di monsignore D’Afflitto ricostruisce la divisione delle contrade seicentesche e con le platee arcivescovili e gli atti notarili del conte Plutino anche quelle settecentesche e ottocentesche. pubblica "La toponomastica storica di Archi", un libro che recupera e rilancia la storia delle famiglie come protagonisti del proprio territorio ricostruendone le attività socio-economiche dalla coltivazione del gelso alla vendita della seta, dalla bachicoltura, all'allevamento del bestiame fino all'agrumicoltura. "questo libro si pone a difesa della memoria di questa terra, affinché fatti e personaggi storici possono trasformarsi in momenti di crescita e di coscienza civile. Un accurato lavoro di recupero della memoria del luogo, nonostante le mutilazioni alla memoria collettiva causate dai continui disastri sismici".